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Lo sport fa bene e per un bambino può essere un’ottima opportunità di iniziare salutisticamente la propria vita: aiuta ad avere uno sviluppo armonico del corpo, aumenta la forza muscolare e contribuisce ad uno sviluppo ottimale dell’apparato osteoarticolare e di quello circolatorio.

Dal punto di vista psichico, lo sport aumenta la forza di volontà anevrotica, quindi migliora decisamente la personalità del bambino. permettendogli di affrontare meglio le difficoltà della vita.

Purtroppo i genitori spesso non sono in grado di gestire in modo corretto l’attività sportiva dei figli e le persone a cui si affidano, spesso sono troppo orientate a trattare con adulti piuttosto che con bambini o adolescenti: in entrambi i casi il risultato può essere devastante.

Ecco i 3 più comuni errori da evitare:

1. No alla competitività

Molti genitori usano lo sport per insegnare a “vincere nella vita”. Questo approccio deve considerarsi scorretto. Se il bambino recepisce tale messaggio, (ed è molto facile che lo faccia, perché non ancora in grado di sottoporre a vaglio critico gli input che arrivano dai genitori) diventerà probabilmente pronto a puntare sempre e soltanto al risultato. La sua autostima sarà basata solo sui risultati che ottiene e, se non vengono ottenuti, ecco che diventerà insicuro e fragile.

2. No all’eredità

Più genitori di quanti si pensi, riversano nello sport il miraggio per sfuggire alle loro frustrazioni, cercano di far realizzare ai figli quello che a loro non hanno raggiunto. Il genitore potrebbe forzare il bambino a praticare un determinato sport (il “suo”, anche se il bambino ne preferirebbe un altro) e investe tempo e risorse (per esempio un allenatore) per creare il suo campione. Se il bambino diventerà un adolescente inibito, continuerà la sua strada con probabile stato di frustrazione; se invece avrà una personalità forte, si ribellerà al genitore, nauseato da uno sport che non sente suo.

3. No al tifo

Dei tre errori, forse è quello più diffuso perchè legato alla difficoltà di ogni genitore di non riuscire a vedere i figli in modo neutrale. Così può capitare che il genitore insulti arbitri e guardalinee in una partitella fra bambini o che giudichi di incapacità un allenatore perchè lascia il figlio in panchina. Cgli effetti potrebbero essere che il bambino venga “contagiato” dal genitore, mettendo in secondo piano la piacevolezza dello sport facendo predominare emozioni negative.

Un’altra cosa importante da considerare è che il termine “bambino” è poco preciso e che sarebbe opportuno riferirsi a fasce d’età.

Da 0 a 4 anni: in questo periodo l’attività fisica dovrebbe essere rappresentata dal gioco attivo in compagnia dei genitori o di coetanei.

Da 5 a 7 anni: questo è il periodo più importante perché, di fatto, si sceglie lo sport. L’errore da non commettere è proprio orientare il bambino su un solo sport, iscrivendolo alla scuola di calcio, al corso di tennis ecc. In realtà, l’approccio più corretto è quello di fargli provare “senza impegno” diversi sport, in modo che sia lui a scegliere il preferito. Il compito del genitore è quello di un oculato consulente:

a) spiegare al bambino i plus dei vari sport; spesso il bambino si orienta per emulazione su quello o quelli praticati dal padre; ciò non è negativo, ma occorre che il genitore apprezzi le eventuali differenze, sia fisiche sia psicologiche, fra lui e il bambino.

b) Evitare che il bambino scelga solo spinto da amici; se il genitore si accorge che fisicamente non è adatto a uno sport, dovrà far presente al bambino che difficilmente potrà emulare il suo migliore amico. Per esempio gli spiegherà che nel basket l’altezza è una grande condizione facilitante, che nella pallavolo lo è anche l’elasticità ecc. Se poi il bambino sceglie comunque lo sport, lo farà comunque conscio dei suoi limiti.

In questa fase può essere utile far vivere al bambino l’esperienza di spettatore dei vari sport, in modo da fargli apprezzare in modo più distaccato l’attività considerata.

Oltre i 7 anni (fino all’eventuale agonismo): ci si dovrebbe orientare su un numero limitato di sport, dopo aver spaziato su diverse opzioni. Il divertimento deve sempre farla da padrone finché il bambino non è pronto (soprattutto psicologicamente) all’eventuale agonismo.

I genitori (e i preparatori) devono portare il bambino all’agonismo se, e solo se, il bambino è abbastanza maturo da non vivere come un dramma un eventuale insuccesso. Purtroppo, visto che la gran parte degli adulti non è preparata agli insuccessi nella vita (avendo un’autostima da risultato), i danni maggiori dello sport infantile si maturano in questo periodo, portando il bambino ormai adolescente ad abbandonare lo sport appena è abbastanza autosufficiente da decidere da sé. In Italia la scarsa pratica sportiva della fascia d’età fra i 20 e i 30 anni è sicuramente dovuta a una cattiva gestione dell’agonismo infantile, periodo in cui divampano i tre errori citati all’inizio dell’articolo.

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Dott.ssa Francesca Ciocca

 

Psicologa Dott.ssa Francesca Ciocca Francesca Ciocca si laurea in Psicologia presso l’Università di Firenze nel 2004 ( Laurea di primo livello in Scienze e Tecniche di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione ) e consegue la Laurea Specialistica in Psicologia dello Sviluppo e dell’Intervento nella Scuola ( Sottoindirizzo: Salute del bambino e della famiglia ) presso l’Università di Padova nel 2006.
Si specializza nella Mediazione familiare e nella Consulenza Psicologica, con il Master accreditato dall’AIMEF (Associazione Italiana Mediatori Familiari).
È abilitata alla professione di Psicologa, con iscrizione all’Ordine degli Psicologi della Lombardia.
Ha intrapreso attività di osservazione e di ricerca presso la Canadian School di Firenze.
Ha lavorato nel campo dell’Adozione Internazionale collaborando con il Centro Adozioni del Comune di Firenze e con Famiglia & Minori, Ente accreditato per l’ adozione internazionale.
Attualmente collabora con scuole ed enti in campo educativo e psicologico.
Svolge attività di formatrice e consulente per varie associazioni private.
Conduce l’attività di libera professionista offrendo percorsi di Mediazione Familiare e sedute di Consulenza Psicologica rivolte ad adulti, adolescenti, bambini/genitori.